13 settembre 2016

Viaggi Sudan | Il regno dei faraoni neri

Fra meraviglie archeologiche ancora poco conosciute, in un Paese dove la popolazione è splendida e accogliente, con usanze tribali ancora vivissime.


L'avventura esiste ancora, e ognuno di noi può ancora sentirsi, almeno un po’, Indiana Jones.
Per riuscirci basta andare in Sudan (del Nord, vista la recente separazione). Primo stereotipo da sfatare: il Sudan non è un Paese pericoloso. Non lo è senz’altro al Nord, dove la popolazione è quasi totalmente musulmana, e dove si trovano i reperti archeologici più interessanti, a cominciare dalle piramidi di Meroe, a un paio d’ore di distanza da Karthoum.

Cominciamo da qui: non si tratta delle gigantesche, colossali, misteriose piramidi egiziane. Si tratta, anche in questo caso, di monumenti funebri costruiti per re, regine e dignitari, ma sono costruzioni molto più piccole, che non nascondono camere segrete o cunicoli misteriosi. Sono piene e non cave, mentre le tombe reali sono state ricavate al di sotto. Detto così, sembra riduttivo, invece il fascino di Meroe è ineguagliabile per un semplice fatto: potrete godervi lo spettacolo delle 40 piramidi a filo della sabbia nella luce dorata del tramonto in completa solitudine, accompagnati soltanto dal fruscio del vento del deserto. 

Una sensazione impagabile, al confronto con il vocio ininterrotto, con la folla onnipresente, con la fastidiosa petulanza dei venditori di souvenir, che infestano a ogni ora i dintorni di Giza. Potrete anche visitarle a dorso di cammello, lasciandovi caracollare da uno di questi docili animali e godendo per qualche momento della pace assoluta del deserto.

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La gente del Sudan




Forse è questa la grande, immensa attrattiva del Sudan: la gente. Gente sempre ospitale, accogliente, gentile, sorridente. Puoi capitare nel più sperduto villaggio e ti verranno incontro con un sorriso garbato: curiosi senza essere invadenti, aperti ma con grande rispetto dello straniero.

Nessuno tenterà di vendervi niente, quello che cercano è soltanto un contatto con uno dei rari esemplari di di uomini bianchi che capitano da queste parti (il Sudan ha soltanto 5mila turisti all’anno). Al massimo può avvenire che, appena vi hanno avvistato, qualcuno corra in casa per uscire brandendo uno smartphone di ultima generazione per fotografarvi. Capita così che voi fotografiate loro, e loro voi.

I nomadi: non c’è popolazione più gentile e cordiale. Li trovate nel deserto, asserragliati durante le ore più calde nelle esili capannine di rami che si costruiscono a ogni tappa. Vi ricevono con riservata gentilezza, vi invitano a prendere un tè o un gustoso caffè con lo zenzero. Se sapete qualche parola di arabo, potete avere un contatto più amichevole, altrimenti basta il linguaggio dei sorrisi o dei gesti.

Il tramonto. Qui in Sudan lo chiamano football time. Alle sette, più o meno, quando il calore abbacinante del giorno (in aprile si raggiungono già i 44 gradi) comincia a scemare, ragazzi di ogni altezza, taglia ed età, escono di casa e raggiungono il campo di calcio che è uno degli elementi essenziali di qualsiasi cittadina, metropoli o semplice villaggio. Un grande Paese con un grande cuore.


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