25 novembre 2014

Nel Benin per svelare il mistero del Voodoo. Le foto del Festival.

Danze vorticose. Che portano a stati di trance. Per invocare la benevolenza degli spiriti. Là dove partivano le navi cariche di schiavi...


Bonghi e tamburi suonano incessantemente. Uomini e donne mascherati invocano le forze della
natura. Alcuni di loro cadono in trance e ballano vorticosamente, roteando su se stessi. Il 10 gennaio il popolo del Benin si riunisce a Ouidah dove va in scena il festival voodoo più importante del Centro Africa, l’evento più atteso dell’anno nel piccolo Paese che si affaccia sull’Oceano Atlantico. E’ il momento in cui si rievocano antichi culti ancestrali e usanze tramandate dai vecchi antenati del Regno del Dahomey (così si chiamava il Benin fino al 1960).


L'invocazione di Mawu
Il voodoo riconosce l’esistenza della divinità superiore Mawu. I sacerdoti juju vengono consultati per le loro capacità comunicative con gli spiriti e per intercedere presso di loro. Questa comunicazione avviene tramite possessione spiritica e comporta spesso l’offerta di sacrifici di vino di palma, polli e capre. Durante il periodo marxista in Benin, nella seconda metà del ’900, il voodoo venne bandito, ma nel 1996 è stato formalmente riconosciuto come religione di Stato. E’ da allora che il 10 gennaio è considerata festa nazionale e a Ouidah si svolge il Festival.


La processione alla porta del non ritorno.
Le cerimonie durano l’intera giornata, fino a tarda notte. Si svolgono nei pressi della spiaggia della città. Danze e libagioni aprono la mattinata. Ma è nel pomeriggio che il clima inizia a surriscaldarsi. Il momento più atteso è la lunga processione degli adepti. Alcuni a piedi, altri in moto, altri ancora in taxi brousse, si spostano verso la “porta del non ritorno”. Si tratta di un grande arco costruito dall’Unesco nel punto d’arrivo sulla spiaggia della «route des esclaves», la strada degli schiavi. Che dovevano percorrere a piedi i quattro chilometri che separano Ouidah dal mare. Qui decine di migliaia di africani sono stati stipati sulle navi e mandati verso le Americhe. Durante il corteo gli adepti sono vestiti in costumi tradizionali, il bianco è il colore dominante, insieme con le perline colorate. Il festival ha il suo culmine con l’arrivo della Dagbo Hounò, il feticheur capo di Ouidah che evoca antichi spiriti e guida le danze.
Nelle tende tra balli e guaritori.
L’altra particolarità della manifestazione è la visita del pubblico alle tende ornate di bandiere, che rappresentano ogni setta della città. Ad ognuna è assegnato un cortile. Ed è in questi spazi che i ritmi frenetici dei tamburi e dei canti dei seguaci aiutano a invocare lo spirito voodoo che prende possesso di alcuni ballerini. Il risultato è la caduta in uno stato di profonda trance. Sempre nei pressi delle tende, guaritori tradizionali trattano malattie con le erbe locali e offrono sacrifici ai numerosi altari fetish che riempiono i rispettivi cortili. Il sacerdote feticcio si rivolge al Dio “Fa”, una divinità esoterica consultata dalla gente per risolvere i problemi della vita quotidiana. Il guaritore è un mediatore: ne interpreta le risposta e la trasferisce all’adepto.

Sangue e scene cruenti
Le cerimonie a volte possono assumere anche forme molto cruente. Spesso i seguaci cadono in trance e diventano insensibili al dolore. Durante il ballo si tagliano con oggetti appuntiti o si rompono in testa delle bottiglie. Sanguinano ma continuano a danzare come nulla fosse. Non mancano esecuzioni anche macabre di cani, gatti, capre. Vengono sgozzati e offerti alla divinità invocata di volta in volta. E non di rado vengono sfilacciati e forati con grossi coltelli i feticci, oggetti inanimati in cui si dice che risiedono gli spiriti. La violenza contro il feticcio è tanto più cruenta se lo spirito è malefico ed evoca possessioni demoniache.

Informazioni Utili: www.africanexplorer.com