08 luglio 2011

Il bike-sharing da Cape Town al resto d’Africa: potenzialità di un sistema economico di mobilità urbana

CITTÀ DEL CAPO - Una mattina d'inverno in centro di Città del Capo, nonostante la forza del vento tempesta e la minaccia di pioggia, Jacques Sibomana, che si apprestava a passare una giornata su e giù per la città, decise che una bicicletta lo avrebbe certamente favorito negli spostamenti, piuttosto che contare esclusivamente sulle sue gambe.
"Sono andato a noleggiare una bicicletta, ma non ho potuto farlo perché non avevano una carta di credito. L'unica opzione è stata quella di lasciare un deposito di 2.000 rand (circa 290 dollari)”, afferma Sibomana.
Città del Capo è una tra le tante città (ma certo una rarità in Africa) che sta considerando l’avvio di un 'bike sharing', un sistema di nolo veloce di biciclette e di proprietà della municipalità.
Esistono già più di 130 city bike-sharing in tutto il mondo, dai più famosi, Velib a Parigi, alla più recente, Barclays (Boris 'moto) a Londra, e il più grande, Hangzhou, in Cina.
Questi sistemi di condivisione di biciclette pubbliche, sono progettati per i veloci spostamenti urbani e per completare il servizio dei mezzi pubblici.
A differenza di noleggio di biciclette per il tempo libero, l’utente armato di smart card può prendere una bicicletta in un punto della città e lasciarla in un altro. Il sistema è in grado di offrire un accesso facile e veloce, senza pagamento di cauzione, documenti o altro, con una tariffazione davvero vantaggiosa.
Eppure il concetto ha dimostrato di essere una partita molto dura da giocare per i paesi in via di sviluppo. A Città del Capo una serie di progetti pilota sono solo in fase di business plan.
Carlos Felipe Pardo, uno psicologo di Bogotà, non è sorpreso che gli investitori abbiano esitato prima di avviare un’iniziativa del genere nel Sud del mondo: il rischio di furto e di vandalismo è infatti relativamente alto, anche per sistemi high-tech e più protetti come ad esempio come il Velib. Aggiungi po, il fattore di complicazione del casco obbligatorio (in Sudafrica) e la mancanza di dati su numero di utenti potenziali, e non si può certo dire che tutti questi siano ingredienti per fare di questo esperimento una case history di successo.
Per questo motivo, i sistemi proposti nelle città africane e indiane, per esempio, sono low-tech, e progettati per creare posti di lavoro, con personali di guardia, consegna di chiavi etc.
Sono opzioni certamente più economiche, ma eccessivamente appesantite dalla burocrazia e dall’interfacciarsi tra il cliente e il personale.
E poi c’è la non sottovalutabile concorrenza del boda boda il taxi-bicicletta, veloci, economici e non certo soggetti a furto, con tariffe chilometriche e non orarie.
Insomma, in luoghi dove il pendolarismo si muove principalmente sulle due ruote (una bicicletta è un bene di lusso in Africa e molto spesso, è già un bene in comune, perché costoso) nonostante la pericolosità delle strade, dove le persone delle fasce più povere e bisognose di mezzi più veloci dei piedi per spostarsi in città (ma pur sempre economici) il bike-sharing sarebbe davvero una manna dal cielo.
Per ora si assiste all’avvio di business plan nelle città più importanti, a partire da Cape Town. E chissà che un sistema che ha tanto successo in Occidente non prenda piede anche nel Sud del mondo.

(Fonte: ips.org)